Come funziona concretamente il metodo EMDR?

Un film per capire concretamente il funzionamento della tecnica EMDR.

Spesso i pazienti che incontro nello studio di psicologia ad Amelia, a Terni o a Roma, vogliono capire come  una seduta di EMDR si articola e in che modo questa tecnica agisce sul cervello.

Ho quindi preparato questo video per descrivere lo svolgimento di una seduta e l’azione delle stimolazioni bilaterali sul cervello.

Buona visione.

 

Il coronavirus spiegato ai bambini, una guida

Incontro con gli psicologi Ingrid Hugnet e Federico Angelucci sul tema il coronavirus spiegato ai bambini. Nel video suggerimenti utili e comportamenti adeguati per essere vicini ai nostri figli durante i periodi di lockdown e di chiusura delle scuole.

𝟏) 𝐈𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐭𝐢 𝐫𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞.

𝟐) 𝐐𝐮𝐨𝐭𝐢𝐝𝐢𝐚𝐧𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐨𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐞.

𝟑) 𝐑𝐨𝐮𝐭𝐢𝐧𝐞 𝐫𝐚𝐬𝐬𝐢𝐜𝐮𝐫𝐚𝐧𝐭𝐞.

𝟒) 𝐀𝐜𝐜𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢.

6 tecniche per aiutare chi ha un attacco di panico

1) Assumere un tono di voce rassicurante ma deciso

L’ansia può essere contagiosa, per cui è necessario non farsi prendere a nostra volta dal panico. Occorre mantenere la calma, parlare con tranquillità ma decisione. Evitare di afferrare la persona o bloccarla.  Non lasciare mai la persona da sola, anche se ci sentiamo inutili, poiché  rimanere solo durante un attacco di panico renderebbe l’esperienza ancora più traumatica. Tenere presente che spesso chi sperimenta un attacco di panico, soprattutto le prime volte, è convinto di essere in pericolo di vita.

  • 2) Non minimizzare la situazione

 Frasi come : “non c’è nulla da cui preoccuparsi”. “Stai esagerando” vanno bandite. Anche se non comprendiamo il motivo dell’angoscia che pervade la persona, negarla non la aiuterà. Occorre invece cercare di starle accanto e affrontare insieme l’attacco, tenendo a mente che la durata media di un attacco di panico non supera le 10 minuti.

  • 3) Favorire il controllo della respirazione

Durante un attacco di panico,  spesso si tende a modificare la respirazione. Molte persone iniziano ad effettuare respiri brevi e rapidi, rischiando di andare in iperventilazione, altre trattengono il respiro. Cosi facendo viene ridotto l’apporto di ossigeno, aumentando di conseguenza i battiti cardiaci. Possiamo cercare di aiutare a regolarizzare la respirazione in questo modo: chiedere di contare le inspirazioni e espirazioni (accompagnandolo ad alta voce). Suggerire di inspirare contando fino a due e espirare contando fino a 2  e aumentare la durata dei respiri fino a 4 e poi a 6. Proseguire finché la respirazione non si regolarizza.

  • 4) Aiutare a spostare l’attenzione

Proporre alla persona di effettuare un’azione concreta, per esempio un movimento fisico: sollevare e abbassare le braccia o un esercizio di tipo cognitivo:  effettuare un calcolo mentale  o cercare di ricordare cosa il pasto consumato due giorni prima a cena. Potrebbe sembrare incongruo in un momento del genere, ma in realtà si tratta di un modo di focalizzare il cervello su un compito concreto, che permette alla persona di ancorarsi al reale. Quando si è in preda ad un attacco di panico, c’è una perdita di contatto con il mondo esterno. La persona attiva il proprio istinto di sopravvivenza  dove le uniche risposte sono lottare, scappare o paralizzarsi. Aiutare la persona a tornare ad un livello razionale, le consente di rifocalizzarsi sul qui ed ora e ritrovare la calma.

  • 5) Non mettere  sotto pressione

Non insistere per farsi spiegare i motivi  dell’attacco,  aumenterebbe soltanto la confusione già in essere. Può anche succedere che la persona in preda al panico si rivolga in modo scortese e irascibile, e provi  ad allontanare chi cerca di aiutarla. Rimanere comprensivi senza pero lasciarla sola.

  • 6) Suggerire di chiedere l’aiuto di uno specialista

Una volta superata la fase critica, aiutare la persona a prendere in considerazione l’aiuto di uno specialista, proponendo eventualmente di cercarlo insieme. Portare la propria esperienza o quella di un conoscente che è stato nella stessa situazione e l’ha risolta è un ottimo modo di motivare ad attivarsi in questa direzione.

Crescere un adolescente ai tempi di coronavirus

In quest’intervista, affronto il tema degli adolescenti ai tempi del Coronavirus. Consigli ai genitori come prendere meglio i loro figli e aiutarli ad attraversare insieme questa fase doppiamente complessa: adolescenza e coronavirus.

https://www.facebook.com/plugins/video.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2FPsicologoPsicoterapeutaFedericoAngelucci%2Fvideos%2F2836214999820246%2F&show_text=0&width=560” target=”_blank” rel=”noopener”>Intervista adolescenti e coronavirus

Come si misurano i tempi del lutto?

luttoHo scelto di condividere un articolo sui tempi del lutto scritto dal dottor David Servan Schreiber, psichiatra, uscita sulla rivista Psychologies nel febbraio 2005.

Lynne sta soffrendo e chiede aiuto, La storia che racconta è tragica: una sera, intorno alle 18, il suo bebè di 10 mesi ha febbre, sembra che stia molto male. Al telefono, dopo qualche domanda rapida e precisa, il pediatra la rassicura: “non sembra cosi grave. Un po’ di tachipirina per la notte, poi vediamo domattina”. Ore 23. Non sta meglio, Lynne fa fatica a fargli aprire gli occhi. Nonostante la tarda ora, decide di richiamare il pediatra a casa sua. Palesemente infastidito di essere stato disturbato a casa, le risponde seccamente che non sembra vi siano cambiamenti significativi. Deve ridargli un po’ di tachipirina e lo visiterà l’indomani mattina in ambulatorio, alle nove.  Lynne non è stata molto tranquillizzata, rinuncia ad andare al letto e si sistema in una poltrona del salone per tenere suo figlio sotto controllo. È accovacciata sul suo petto, le accarezza la schiena, sente il suo soffio troppo caldo sul suo grembo. 5 del mattino. Si risveglia di soprassalto, furiosa per essersi addormentata. Tra le sue braccia, scopre il suo bambino morto.

Da quel momento in poi, Lynne non dorme quasi più. Le rare volte in cui riesce a prendere sonno, è svegliata dagli incubi. Di giorno, le immagini di quell’ultima notte con suo figlio la perseguitano, stringendole la gola e la pancia. Si rimprovera per essere stata una cattiva mamma –perché non l’ha portato in ospedale nonostante l’opinione del pediatra?-, si sente incapace di vivere con questo dolore. A volte, sente la mano di suo figlio nella sua, il suo respiro sul suo viso. Ha paura di impazzire, e finisce con il consultare uno psicoterapeuta.

La diagnosi è facile: si tratta di un lutto traumatico. La risposta meno. Se Lynne stesse soffrendo da due anni, nessuno esiterebbe a curarla per aiutarla a superare il suo dolore e ricominciare a vivere. Se fosse solo da sei mesi, alcuni si farebbero qualche domande: ha sofferto abbastanza a lungo? E se fossero soli tre mesi? Nel caso di Lynne, erano passate solo tre settimane. Bisognava rimandarla a casa con la sua sofferenza? “Mi dispiace, Signora. Quello che sta vivendo è una reazione di lutto, occorre lasciare il tempo di fare la suo opera. Non ha sofferto abbastanza a lungo perché io possa aiutarla. Ritorni quando il suo dolore si sarà protratto per almeno sei mesi…”

Chi deve decidere della durata della sofferenza altrui ? Sappiamo oggi che meno di otto sedute di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) permettono di alleviare i sintomi del lutto traumatico in oltre 80% dei casi  (Sprang G., in Research on Social Work Practice, 2001. Et Wilson S., Becker L. and Tinker R., in Journal of Consulting and Clinical Psychology, 1997). Perché negarlo a chi sta soffrendo? Un terapeuta ha moralmente il diritto di rifiutarsi di trattare chi sta chiedendo aiuto?

I pazienti che hanno perso un caro hanno il sentimento che la loro sofferenza è un modo di onorare il suo ricordo. Ma dopo alcune settimane, che cosa avrebbe voluto il figlio di Lynne per sua madre? Al termine delle sedute di EMDR, è stata la stessa Lynne a trovare la risposta: “ Non sono più bloccata sulle immagine orribile di quell’ultima notte con lui. Quello che rivedo, sono tutti i nostri momenti di tenerezza e di dolcezza. Sono grata per tutto quello che mi ha dato prima di andarsene.” Poi pone la sua mano sul suo grembo: “ Oggi è in pace, e sento la sua presenza nel mio cuore. Non lo dimenticherò mai, sarà sempre con me. La mia vita può andare avanti…”

Bisognava aspettare sei mesi?

Traduzione Ingrid Hugnet

Attacco di panico: che cos’è e come reagire?

imagesChe cos’è un attacco di panico ?

Gli attacchi di panico si caratterizzano per la loro intensità: accadono all’improvviso e sono molto intensi. Un attacco si manifesta generalmente attraverso  un accelerazione del battito cardiaco e dei sintomi neurovegetativi quali vertigini e brividi. Il più delle volte, dura qualche minuto, ma accade anche che un attacco duri fino a mezzora.

Quando avviene l’attacco di panico,  il corpo si mette in un stato di allerta senza una ragione obiettiva, il cuore inizia a battere più velocemente, le membra tremano,  c’è uno stato di disaggio intenso e la sensazione di una perdita di controllo.

Durante l’attacco, la persona è estremamente spaventata e ha paura di morire, in genere di infarto. Una volta calmata, la persona sente un profondo sollievo e un forte senso di stanchezza.

 Quali sono i sintomi di un attacco di panico?

Una persona ha un attacco di panico se prova almeno quattro delle sensazioni seguenti:

  • Sudorazione
  • Tachicardia
  • Respiro affannoso
  • Nodo in gola
  • Dolore o fastidio al torace
  • Nausea
  • Giramenti di testa
  • Sensazione di derealizzazione
  • Paura di perdere il controllo, paura di impazzire
  • Paura di morire
  • Parestesie: formicolio negli arti
  • Brividi, caldane
  • Quali sono le cause potenziali ?

Le principali cause di un attacco di panico sono lo stress, le fobie, un trauma, l’ambiente, la famiglia ( un genitore ansioso per esempio) e il temperamento. Alcune sostanze possono anche causare degli attacchi di panico, quali l’alcool, la cocaina, la cannabis o gli allucinogeni.

Che cosa fare se si ha un attacco di panico ?

Se si ha già avuto un attacco, è facile riconoscerne i sintomi. In quel momento, è importante controllare la propria ansia per non lasciarsi sopraffare. Esistono alcune semplici tecniche di rilassamento e meditazione per imparare a gestire la situazione: il controllo respiratorio, ovvero imparare a respirare lentamente, facendo lunghe ispirazioni e espirazioni. Può anche essere utile cercare di ancorare le emozioni al corpo: stringendo i pugni, ripetersi delle frasi appaganti o concentrando sul qui ed ora.”

Che cosa fare di fronte ad una persona in preda ad un attacco di panico ?

La prima volta, una persona in preda ad un attacco non sa di avere una crisi e   le sarà difficile spiegare a chi le sta vicino quello che le sta succedendo. Se si capisce che una persona che si ha di fronte ha un attacco di panico, occorre rimanere calmi e rassicurala facendole capire che si trova in un luogo sicuro. Non bisogna in nessun modo aggiungere panico al panico. Occorre incoraggiare la persona e aiutarla a tornare alla calma attraverso delle respirazioni.

Terzo gruppo allargato a Perugia: uno spazio di confronto (psicologa Amelia)

Sabato 9 aprile si svolgerà a Perugia la terza edizione del gruppo allargato, un nuovo tipo di setting rispetto al gruppo analitico allargato. L’evento è organizzato in un pomeriggio di 3 sessioni di un ore e mezza ciascuna. Il gruppo allargato è uno spazio di incontro per condividere e confrontare opinioni, sogni, pensieri, emozioni, fantasie, storie… senza un tema pre-definito attraverso il dialogo. All’interno di un Gruppo Allargato, condotto da specialisti esperti in dinamiche psicosociali e di gruppo, si può sperimentare che la condivisione e il confronto in gruppo attraverso il dialogo possono contribuire alla costruzione del proprio benessere e di quello collettivo.  Tutti possono partecipare soprattutto coloro che desiderano un confronto aperto attraverso la parola e migliorare le proprie capacità relazionali.

L’evento è organizzato in collaborazione con l’associazione Il Cerchio Gruppoanalisi.

Curare la depressione con l’EMDR ?

cropped-cropped-eye-brain-photo-neuropsych-workshop13.pngL’Emdr è una tecnica terapeutica che funziona anche per la cura della depressione, oltre che per elaborare un trauma? Gli studi dimostrano l’efficacia dell’Emdr nella terapia della depressione.

Che cosa succede quando un ricordo, un trauma, uno o più pensieri ci destabilizzano profondamente, al punto da rovinarci la vita quotidiana, la salute o il sonno?

“ci rivolgiamo ad uno psicologo” “assumiamo antidepressivi”. Si, ed è già molto. Ma a volte insufficiente.

Cerchiamo di risolvere il problema attraverso il linguaggio,  e nel cervello la sede del linguaggio è la neocorteccia. A volte, in alcune depressioni, questa parte del cervello non funziona più in maniera efficace, perché dominata dalla parte emotiva del cervello, l’amigdala.

Questo è il motivo per cui in alcuni casi, si raccomanda l’assunzione di un farmaco per abbassare la carica emotiva, prima di procedere ad una psicoterapia . L’amigdala è un area del cervello che reagisce quando c’è un pericolo: ci evita di pensare e ci consente di attivare tutti i riflessi e le sostanze chimiche (per esempio l’adrenalina) per fronteggiare o fuggire un pericolo. Una volta superato il pericolo, ritorna ad essere “in stand-by”. Ma se l’amigdala continua a funzionare considera il pericolo sempre presente e invade il cervello: siamo così travolti da un’ondata di emozioni, ci troviamo in uno stato di malessere perenne, ovvero cadiamo in depressione.

Questo perché il cervello emozionale (il sistema limbico) dominato dall’amigdala, non comunica più con il cervello prefrontale (la neocorteccia) ovvero la parte del cervello  che deve classificare ed elaborare l’evento, permettendo di assimilare e etichettare l’evento stesso come passato e quindi non più pericoloso.

Lo schema seguente illustra le parti del cervello coinvolte nelle emozioni.

CERVEAU-ET-AMYGDALE

L’EMDR permetterebbe di desensibilizzare i ricordi e i pensieri negativi simulando i due emisferi del cervello per metabolizzare traumi del passato, comportamenti o idee negative. L’EMDR offrirebbe una scorciatoia per eliminare nel profondo i sintomi legati ad eventi passati che non sono stati elaborati dal sistema limbico (che non sono stati metabolizzati psichicamente). Lo psichiatra francese David Servan Schreiber ha descritto questo metodo in modo esaustivo :

“si tratta di stimolare il cervello da destra a sinistra e da sinistra a destra (attraverso lo sguardo, la voce o il tocco) in modo da sbloccare l’evento traumatico rimasto intrappolato nella psiche e di riattivare il naturale sistema di auto guarigione del cervello perché analizzi l’informazione e la “digerisca”

Servan Schreiber afferma anche che: “La terapia EMDR (quando è condotta bene) è molto più efficace, arriva molto oltre e più profondamente della psicoanalisi:attiva un normale processo di guarigione”. Altresì “(…) la terapia EMDR non si sostituisce ad un lavoro psicoanalitico per tutto quello che riguarda una maggiore conoscenza di se a lungo termine. Queste due forme di terapia son tra l’altro spesso utilizzate in maniera congiunta con profitto”.

L’EMDR consente di alleviare il dolore acuto causato da un trauma passato per poi permettere di capire   con un percorso di terapia tradizionale in maniera più approfondita le conseguenze di quell’evento sulla propria vita.

Nel mio studio di psicologa  ad Amelia e a Roma, laddove può essere risolutivo, mi avvalgo della tecnica Emdr associata ad una terapia di orientamento psicodinamico.

Fonte: David Servan Schreiber : Guarire, ed. Pickwick

Autore : Ingrid Hugnet

7 sintomi fondamentali della dipendenza da cocaina

Esistono alcuni segnali chiari per capire se una persona ha sviluppato una dipendenza dalla cocaina, basta presentarne tre per ritenersi dipendente.

La dipendenza patologica è una condizione in cui una persona sviluppa una compulsione
all’utilizzo della sostanza, aumentando la dose e la frequenza d’ uso, pur sapendo dei
gravi effetti collaterali fisici o psicologici e del grave sovvertimento causato alle sue
relazioni personali e al suo sistema di valori.

cocaine
L’Associazione Psichiatri Americani (APA) identifica 7 sintomi fondamentali nella
dipendenza da cocaina.
Una persona deve presentarne soltanto 3 per ritenersi dipendente:

  1. Uso eccessivo o inappropriato di cocaina e altre sostanze.
    Ad esempio: utilizzare sostanze o ubriacarsi e non essere in grado di svolgere le proprie
    attività a casa, al lavoro o con altre persone; sentire di aver bisogno della droga per
    essere adeguato con gli altri, al lavoro o a casa; guidare sotto l’effetto di droga;
  2. Assillo costante ad ottenere o utilizzare cocaina o altre sostanze.
    Ad esempio: vivere solo per usare cocaina, alcol o altre droghe; rendere l’uso di sostanze
    eccessivamente importante nella propria vita; essere ossessionato dall’uso di droga.
  3. Tolleranza ridotta o aumentata per cocaina o per altre droghe.
    Ad esempio: avere bisogno di più cocaina per sballare; sballare con più facilità o con
    meno cocaina che in passato.
  4. Perdita del controllo : una volta iniziato il consumo di cocaina o di altre droghe, avere problemi a
    interromperla o a ridurne l’uso, oppure smettere l’uso di cocaina per un periodo di
    tempo ( giorni, settimane o mesi) per poi ricominciare di nuovo.
    Ad esempio: non essere capaci di controllare quanta o quanto spesso si usa cocaina;
    usare alcol o sostanze in quantità maggiori rispetto a quanto previsto; promettere di
    smettere senza riuscirci; non essere capaci di mantenersi astinenti.
  5. Astinenza quando si riduce o si cessa l’uso di cocaina o di altre sostanze
    Ad esempio: stare male fisicamente quando si è cessato o si è ridotto l’uso di cocaina
    (avere tremori, nausea,orripilazione, rinorrea ); manifestare dei sintomi psichici quali
    depressione, ansia, agitazione; usare cocaina o altre droghe per evitare o interrompere i
    sintomi astinenziali. ( per esempio usare sostanze per prevenire l’astinenza , usare alcol o
    droghe per fermare i sintomi, una volta iniziati)
  6. Continuare ad usare cocaina o altre droghe. anche se queste stanno creando
    problemi alla propria vita
    Ad esempio: non ricorrere ad un medico, ad un terapeuta o ad un altro professionista
    per cessare l’uso di cocaina o di altre sostanze, nonostante questo sia un problema;
    perdere il lavoro o non essere capaci di trovarne un altro; farsi arrestare od avere altri
    problemi legali; avere problemi in famiglia o con gli amici; avere problemi finanziari.
  7. Rinunciare ad attività importanti o perdere amicizie per l’uso di cocaina o di altre
    sostanze:
    Ad esempio smettere di partecipare ad attività un tempo ritenute importanti, rinunciare ad
    amici che non usano sostanze, rovinare relazioni a causa dell’uso di droga.

Se pensi di presentare almeno tre di questi segni, allora è probabile che abbia sviluppato una dipendenza ed è consigliabile rivolgersi ad uno specialista psicologo o psichiatra specializzato nella presa in carico delle dipendenze.